IN VOLO VERSO L’ALTROVE // UMANITÀ DI ROSA CAPECE

IN VOLO VERSO L’ALTROVE // UMANITÀ DI ROSA CAPECE

IN VOLO VERSO L’ALTROVE   

Sfioro appena l’erba
i luminosi fili
slanciati verso l’orizzonte.

Un clamoroso frastuono –
Vanno le rondini
nell’attraente girotondo.

Solo uno rimane fermo
in silenziosa posa
sul disadorno ramo spezzato.

Ai piedi di quell’albero
muti e sordi
i rossi papaveri si agitano.

Mi avvicino lentamente
nel pieno fruscio
che sa di doloroso pianto.

Raccolgo una calda stilla
non è rugiada
è una lacrima di sangue.

Come serpente di fulmine
un giro di fumo
impetuosamente si accende.

Le ceneri di una piuma,
due piume
si è spento un respiro di vita.

Sbiancano le ali arrotolate –
Mai più si apriranno
nelle trasparenze dell’aria.

Chi ha spento le luci
negando il respiro
a chi libero andava nel suo viaggio?

Rosa Capece

IN VOLO VERSO L’ALTROVE // Umanità di Rosa Capece

Una poesia apparentemente descrittiva che libera atmosfere fascinose ed incantevoli, come se ci si trovasse in un magico giardino di luci, colori e suoni, dove “i luminosi fili” del verde prato sembrano protendersi verso un cielo infinito.

Ma non crediamo che Rosa Capece abbia voluto limitare i suoi versi alla celebrazione di una grande festa, quale appunto può essere una rappresentazione dell’entusiasmo e della gioia che nasce in un giorno di primavera.

Anzi, è proprio la volontà di voler circostanziare questo luogo di felicità che accende la riflessione: il luogo è magnificato di proposito nelle policrome sfumature di allegrezza, come a esasperarne le tinte per far risaltare maggiormente il contrasto con una realtà triste e squallida, che sagacemente, la poetessa ritaglia e nasconde tra i versi.

È come se Rosa Capece si chiedesse:

–  Ma è possibile che, in tanto “clamoroso frastuono – Vanno le rondini nell’attraente girotondo”, e che nessuno si accorga di una misera creatura che è accasciata sulla fredda e nuda terra in attesa che qualcuno, di fronte al suo stato di bisogno, le presti soccorso?

 Solo uno rimane fermo in silenziosa posa sul disadorno ramo spezzato.

L’inciso cade come per caso tra i versi, sembra quasi essere parte di quelle circostanze di gioconda spensieratezza, ma di fatto, non è così perché elemosinare un briciolo di gioia, restando “in silenziosa posa sul disadorno ramo spezzato”, equivale a significare che la vita è pervasa da una sofferenza irrisolvibile.

E qui ancora una volta la voce della poetessa sembra dire:

–  Ma la condizione di sofferenza è anormalità o è una conseguenza dell’esagerata indifferenza degli uomini?

Si noti un’altra sottolineatura che Rosa Capece, con grande maestria, nasconde tra i versi quando dice:

 “Ai piedi di quell’albero muti e sordi i rossi papaveri si agitano”.

Quel “muti e sordi” è indicativo di un atteggiamento diffuso che spinge la gente ad allontanarsi da quei “papaveri” che “si agitano” come se provasse nausea e ripugnanza nel dover vedere nel mezzo di tanta festa un una creatura morente.

Solo la poetessa si avvicina e senza timore prende tra le mani “una calda stilla non è rugiada è una lacrima di sangue”.

Ma è carica di sublime tragicità la frase “Come serpente di fulmine un giro di fumo impetuosamente si accende” sulle pene e le sofferenze di chi è vicino alla fine.

Che dire, infine, di quelle “…ceneri di una piuma, due piume si è spento un respiro di vita”: c’è qui un’esplicita e netta definizione della creatura che ha terminato il suo “viaggio” terreno.

Articolo critico a cura della professoressa Cinzia de Rosis

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