UNA NUOVA AURORA // LO SGUARDO SUL MONDO DI KATIA CARUSO

UNA NUOVA AURORA // LO SGUARDO SUL MONDO DI KATIA CARUSO

UNA NUOVA AURORA

Tanto silenzio nel buio
che mi circonda –
Dissolta nella notte

della vita
dove gli uomini si vestono
di insolente superbia.

Voglio aprire le trame
del tempo,
le reti che legano al vuoto.

Fuggo la folla dei ciechi
e chi non spende
parole né gesti d’amore.

In tanti, troppi
hanno gettato le chiavi
imprigionando l’anima.

Voglio colorare
queste nere vie
urlare la gioia arrotolata,

calpestata da scarpe
che frantumano gli steli
rannicchiati sull’erba.

Stendo la mano
e raccolgo petali di rose
da spargere all’infinito.

Così sguaino la spada
e fissando l’oscurità
squarcio i veli del nero cielo.

…Si apriranno i mantelli!!!
Luci e suoni affolleranno
il respiro di una nuova aurora.

15.06.2021 Katia Caruso

UNA NUOVA AURORA // LO SGUARDO SUL MONDO DI KATIA CARUSO

La poesia “Una nuova aurora” di Katia Caruso apre subito ad una piena di sensazioni senso-percettive dell’io che avverte il peso di un indicibile e galoppante “silenzio nel buio” circostante. Ma questo “silenzio” non dipende da contesti cosmici e atemporali, è un silenzio determinato dal presente, da un’esperienza della realtà che annichilisce e annienta “nella notte della vita”.

Il nesso storico di riferimento è nella coscienza di patire l’atrocità dei tramonti, l’oscurità che, sul piano relazionale, corrisponde all’indifferenza di quanti “si vestono di insolente superbia”. Sono “uomini” prepotenti e arroganti, individui che dissacrano la genuità del vivere in nome di false fedi e ambigui sentimenti. Sono “uomini” che hanno edificato vane e vuote cattedrali, fantocci che hanno rivestito maschere contraffatte, finendo per identificarsi in forme asimmetriche e disarticolate dell’esistenza. La conseguenza diretta di tanta falsità è quel precipitare “del tempo” e della storia in una fitta “rete” di “trame” e tranelli che trascinano nel “vuoto”, nel vortice dell’insensatezza dove nulla ha senso e tutto si sbriciola nel baratro del “vuoto”.

E questo vuoto Katia Caruso rappresenta e dice nei gesti di “una folla di ciechi” che non sanno intendere né comprendere la magnificenza della vita, una vita che andrebbe vissuta pienamente nella semplicità dei piccoli e quotidiani momenti. Quei momenti che sono sussulti e vibrazioni dell’anima, purezza ed energia dello spirito, completezza e affermazione di una coscienza privata e collettiva. Ma questa integrale e universale partecipazione è negata da un mondo dove “In tanti, troppi” hanno chiuso le porte del sincero dialogo.

Katia Caruso lancia il suo grido contro il nero cielo della menzogna, contro un nero fatto di nerezza nella foresta dove le foglie della speranza si arrotolano e gli uccelli cadono morenti. E questa oscurità la poetessa vuole “colorare”, vuole far rinascere, nelle tinte di una nuova alba, la vita schiacciata dalle finzioni di quanti hanno “gettato le chiavi”.

Questo grido di sofferenza è scoperta delle “nere vie” di un triste presente. Ed eccola, Katia Caruso è lì ad “urlare la gioia arrotolata” come a voler farsi testimone della necessità di istituire un nuovo ordine morale contro la deviazione di senso che spegne il sorriso e la freschezza di un fiore, nella fredda crudeltà che si abbatte con implacabile e furiosa violenza.

Si tratta di una prevaricazione storica che si materializza nel passo cinico di chi con “scarpe” di fango calpesta e frantuma “gli steli rannicchiati sull’erba”. L’immagine trasuda così rara bellezza che si trasforma in una grande metafora per la quale gli “steli” sono desideri, aquiloni di sogni che precipitano, richiudendosi sull’ “erba”.

Ma si faccia attenzione al significato nascosto dell’ “erba” che rappresenta la speranza. Se questi sogni fossero caduti altrove avremmo potuto parlare di una visione pessimistica della poetessa, ma Katia Caruso fa in modo che questi steli si raggomitolino e non si spezzino. Il che equivale a dire che sul mantello della verde speranza, tra nuovi fili d’ “erba” possono ricrearsi le condizioni perché quegli steli un giorno potranno rialzarsi e nutrirsi della madre-terra, risorgendo da una pausa temporale e da una sospensione di senso.

Significativo il gesto della poetessa che “stende la mano” come a raccogliere con amore materno quei petali di rose caduti, così da spargerli all’infinito. Sembra quasi di vedere il gesto della mano che delicatamente raccoglie ciò che rimane delle rose, per farne dono alla sacralità dell’immenso.

La determinatezza di Katia Caruso è al massimo grado di rappresentatività, la sua scelta è compiuta, sembra essersi trasformata in una sacerdotessa pronta ad immolarsi per la difesa della purezza e della perfezione dell’universo creato. Ed eccola, come un antico cavaliere, è pronta a squarciare “i veli del nero cielo”, a tagliare “i mantelli”, ad annientare quell’ “oscurità” che vieta all’essere di immergersi nella piena di “luci e suoni”, quella piena che nel suo canto diventa “respiro di una nuova aurora”.

Articolo critico a cura della professoressa Cinzia de Rosis

Materiale protetto da Copyright (c) – Tutti i diritti riservati. Vietata la copia anche parziale.

https://plathsylvia.altervista.org/

https://www.letteratour.it/analisi/A02_plathSylvia_ariel.asp

https://plathsylviaariel.altervista.org/

https://sylviaplath.altervista.org/

https://eburnea.altervista.org/

https://sylviaplathariel.altervista.org/